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Visualizzazione dei post da 2016

OLTRE IL RITRATTO

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Belgio - Amal (2016) La posa suscita nel soggetto ritratto la consapevolezza dell'apparire. Leggere questa espressione negli occhi del soggetto fotografato può essere motivo di ricerca. Gli occhi ci dicono quello che il soggetto vuole mostrare, ma ci rivelano anche quello che intende nascondere, oppure ciò che non è ancora pronto ad affrontare. Perciò possiamo soffermarci sulla funzione primaria del ritratto, che è appunto quella dell'apparire, o andare oltre, sondarne i motivi e capirne la provenienza, il desiderio di appartenenza, il dilemma esistenziale.

RAPPORTARSI ALL'IMMAGINE

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Berlino - Tre uccelli (2014) Ho come la sensazione di appartenere a quelle immagini. Le guardo e le riguardo, e più questo rituale va avanti più loro divengono parte di me. Oltre ogni soddisfatta esigenza e rituale estetico io sento di amare le mie foto. E come non potrei; ho costruito un rapporto emotivo con loro, un rapporto positivo. Nessuna incertezza, nessuna insicurezza. Se le odiassi diventerei la loro vittima, anzi la vittima del pregiudizio negativo nei miei confronti. Ho fatto una scelta, e ho scelto di amare. Ecco allora che il volo di un eccello diventa il messaggio di un figlio lontano, e così l'immagine racconta la storia di un legame indissolubile. 

VISIONI LATENTI

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Gelato al Ponte Vecchio (2016) C'è un ritorno all'immagine. La foto acquista potere imprimendosi nella memoria. Il vedere la foto diventa esperienza che nel ripetersi si rafforza. Tornare frequentemente alla solita immagine permette la costruzione di un rapporto emotivo. Proprio come la scena del mondo reale ha bisogno di un certo ammontare di tempo per imprimersi sul supporto chimico o elettronico, così l'immagine richiede tempo per imprimersi nell'esperienza del vedere. E ad ogni nuova lettura, proprio come in un bagno chimico, affiora un nuovo dettaglio. Tutte sono immagini latenti nel gioco dell'inganno. In verità la prima esperienza visiva rimane quella più reale. Ogni conseguente rilettura diventa materiale da costruzione per nuove splendide concettualizzazioni che, per loro natura, portano sempre molto lontano dalla realtà delle cose.  

FLUSSI DI OSSERVAZIONE

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Hannover - Intubato (2014) Espandendo la consapevolezza le definizioni si perdono, le linee di demarcazione dileguano, formano immagini indefinibili, magari sfocate. Non ho una vera opinione su ciò che vedo. Posso dire di riconoscere le immagini più forti, ma nessuna mi appare più importante di un'altra. La forza di una si basa sulla debolezza delle altre. E comunque ogni istantanea testimonia il flusso di osservazione-ritaglio-riproduzione, che nell'insieme definisce una convergenza d'intenti. Non m'interessa una lettura oggettiva della foto. Ogni immagine ha una funzione diversa a seconda del contesto in cui viene letta. Non deve per forza colpire. Può anche passare inosservata, lasciare indifferenti, restare silenziosa. Eppure verrà anche il suo momento. Avrà una sua funzione, che verterà inevitabilmente sul ricordo.

CONTROLLO SENZA CONTROLLO

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Eindhoven - Menestrelli di strada (2016) Preferisco lavorare con gli obbiettivi fissi perché mi ricordano che le mie scelte sono sempre condizionate e che accettare queste condizioni è un gesto di completezza. Il mio non può che essere un controllo limitato, palesemente illusorio, almeno fino a quando non arriva la consapevolezza di questo senso di completezza. Fattori più o meno controllabili convergono in un punto, figlio della volontà divina o del caso, oppure di entrambi.  Spesso proprio quelle variabili incontrollate che definiscono il momento decisivo. 

IL CREARE BUONO

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Lisbona - Bevitori fuori dalla chiesa (2015) L'energia creatrice che è amore-comprensione-creatività, può essere attivata in uno stato di equilibrio del corpo-mente, se indotta dal desiderio. Quando la mente è quieta e il corpo è sano, l'energia creatrice (emanazione divina) può essere meglio catalizzata. Sarà poi la qualità del desiderio a definire il valore dell'esperienza personale; armonica se il desiderio è disinteressato, turbolenta se invece diamo troppa importanza al risultato finale.  La creatività è in ogni caso uno stato di forte presenza atemporale. Spesso è proprio colui che è privo di un equilibrio interiore ad indugiare nel processo creativo per fuggire lo stato di pensiero (negativo) che è fondamentalmente tormento. È il fantomatico “artista maledetto” che usa la creatività come analgesico, consapevole di poter sedare, almeno per un po', la sua sofferenza interiore. Forse proprio per questo suo bisogno impellente riesce ad infondere al suo messa

BISOGNO DI CONOSCERSI

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Berlino - Selfie al muro (2014) Forse il selfie è il sintomo di un'ultima disperata ricerca della propria identità, un grido d'aiuto silenzioso che esclama “Eccomi, sono io. Sono qui!” Con la forza della disperazione in milioni ci puntiamo addosso l'obbiettivo, un gesto che ricorda morbosamente il suicidio, e sfiorando il "grilletto" catturiamo quello che poi crediamo ci rappresenti: un corpo e un volto incorniciati entrambi in un tempo e in un luogo specifico, magari con qualcuno. “Si, questo sono io...” è la reazione in automatico. L'inganno.  Ma al di là delle false identificazioni il bisogno rimane. È ciò che ci muove, che da' un senso a tutto il resto, la spinta verso un auto-conoscenza. E questo bisogno reclama una risposta, perché è sempre la domanda che crea la risposta, nel gioco della conoscenza acquisita, imprestata o venduta. Oltre lo schema domanda-risposta vi è la realtà, inalterabile ed assoluta. Il suo raggiungimento passa proprio

LASCIAMOCI LIBERARE

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Bruges - Per strada (2016) Mi sono chiesto spesso se possa definirmi un fotografo.  È sempre rischioso partecipare al gioco delle definizioni e delle false identificazioni, però ci proviamo lo stesso.  Si, io credo di essere un fotografo, e per esserlo non ho bisogno di un pezzo di carta, di una partita iva, di un incarico, di una pubblicazione, di un riconoscimento o che altro. Io sono un fotografo perché vivo di fotografia, senza mai chiedermi che cosa dovrei fare per identificarmi in questo ruolo specifico. E come ogni esperienza autentica, anche questa la vivo alla mia maniera, come sento meglio, danzando la grande danza.  Questa è una foto meravigliosamente casuale, sempre che esista davvero qualcosa che non sia casuale, altrimenti sarebbe una foto normale. Ho scelto questa foto perché sono certo che al momento dello scatto non ero consapevole dei due ragazzi che si baciano. O forse si? La mia attenzione di superficie era rivolta al soggetto primario, ma non posso dire

ESTENSIONE DEL DIVINO

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Lione - Traboules (2016) Ma l'azione priva di sforzo rimane comunque azione, disinteressata (nell'ego) ed estensione del divino. È infatti questo il grande insegnamento spirituale concernente l'azione. Nella consapevolezza di essere mere appendici del volere divino, si agisce in assenza di tensione, abbandonandosi piacevolmente al fare, o al disfare, o all'inerzia consapevole, che è a suo modo un tipo di azione. L'inerzia consapevole si distingue dall'immobilità reattiva, spesso innescata dall'insicurezza o dalla pigrizia. È anch'essa una scelta, una decisione ponderata, e va presa in considerazione. Ma può anche essere semplicemente un'attesa, una proroga per dare il tempo all'universo di giustificare la susseguente azione. Perciò il momento decisivo, che è azione, nasce da una serie di proroghe, di sospensioni, di scelte di non agire.

SUL VEDERE E IL RICONOSCERE

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Giaime (2015) Il significato di un ritratto è nel legame tra osservatore e fotografato. Il fotografo è solo il medium che rende possibile questa relazione. È possibile conoscere direttamente (conoscente, amico, parente) o indirettamente (personaggio famoso) il soggetto, cioè avere una relazione che diventa forzatamente la chiave di lettura del ritratto. Noi leggiamo l'immagine di una persona nota decodificandone l'espressione, i lineamenti, la postura attraverso le informazioni preesistenti che abbiamo riguardo al soggetto. È un riflesso spontaneo, che provoca sensazioni facilmente reperibili ed appaganti. Guardando la persona ritratta la “riconosciamo”, ovvero leggiamo le cose che già sappiamo di lei, cerchiamo insomma una conferma del nostro riconoscimento. In pratica vediamo nell'immagine della persona conosciuta soltanto ciò che possiamo o vogliamo riconoscere, e perciò non la vediamo affatto, o meglio vediamo solo il modo in cui noi riusciamo ad osservarla.  S

MA QUALE ACQUISIZIONE?

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Haarrijnseplas (2015) Come si comunica quel senso di abbandono che pervade un uomo in preda ad uno slancio di pura ed incontaminata creatività? È una cosa fattibile? La lettura è inevitabilmente condizionata, il messaggio troppo spesso sussurrato, per mancanza di occasioni oppure per palesi limiti tecnici, ma l'esperienza rimane. Pura creatività è comunione divina. È nella nostra natura emulare il Creatore essendo fatti a Sua immagine e somiglianza, essendo manifestazioni della Sua emanazione e Sue appendici.  Perciò è fondamentale riconoscere la partecipazione del divino nel gesto creativo, passando per la spersonalizzazione e l'abbandono. Non si possono "acquisire" le immagini, perché ci appartiene già tutto. C'è solo un agire armonioso al ritmo di una danza universale che porta a replicare immagini su un supporto bidimensionale.  Tutto qua. 

ROMPERE I PARADIGMI

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Dublino - Tre in cammino (2015) È l'eccezione che spicca. È nel sistema gerarchico che l'uno s'impone sulla massa.  La nostra mente è avvezza a pensare in paradigmi di competizione. Che sia questo il motivo per cui alcuni fotografi oggi si sentono sperduti? La democratizzazione della pratica fotografica come conseguenza dell'avanzamento tecnologico sembra aver livellato il numero delle eccellenze. Macchine sempre più facili da usare ed in grado di realizzare in tempi minimi immagini di altissima qualità, suscitano le insicurezze degli amatori. Sappiamo che le basi della composizione si possono imparare facilmente in un giorno. Questo per qualcuno può diventare frustrante. È come se si scoprisse il modo di trasformare il ferro in oro con uno strumento alla portata di tutti. Di colpo l'oro non avrebbe più valore, pur rimanendo lo stesso magnifico metallo di sempre.  Gli sconvolgimenti dei paradigmi mentali portano sempre frustrazione, è inevitabile. S

SULLA FREQUENZA DELL'AMORE

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Amsterdam - Barche Ormeggiate (2016) Fotografia come ricerca interiore, come percorso personale, vissuta in profondità. Un medium per rapportarsi al reale, per districare la ragnatela delle false identificazioni, per capire. Sto parlando di una fotografia vissuta, che non può essere confinata da regole o vincoli. Questo è il modo con cui sono in grado di creare sulla frequenza dell'amore.  La fotografia viene con me, perché la mia mente è avvezza a ritagliare immagini, perché il mio occhio è sempre attratto da un qualche soggetto, perché nella mia borsa c'è sempre una macchina fotografica. Vuoi che ti faccia una foto? Eccomi! Sono a disposizione dell'universo. Sono qui grazie a te.  Memoria, ricerca, curiosità, provocazione o semplice testimonianza, questa assurda caccia all'immagine continuerà a fare il suo corso, nel modo più naturale, senza tensione.  C'è solo la danza... ...e le parole sono vento. 

NON-FINALITA'

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Spiaggia - Zuid Holland (2016) All'inizio ero quasi ossessionato dal capire le ragioni del mio fotografare, il perché di quell'atto in sé. Ogni volta che puntavo l'obbiettivo su qualcosa o qualcuno questa domanda tornava a pervadermi, per guidare la mia mano, assecondare il mio occhio e riempire il mio cuore. Ma col tempo me la sono lasciata alle spalle, liberandomi finalmente dal vincolo domanda-risposta. Poiché solo chi è vestito di conoscenza può spogliarsi di questa. Quindi c'è la foto ma non c'è il pensiero. L'immagine viene acquisita attraverso un gesto privo di finalità, possiamo dire "spontaneo". Avrei potuto anche non cliccare. L'esistenza stessa della fotografia diventa irrilevante, almeno che non partecipi ad un gioco con regole ben precise, dettate dai flussi di pensieri altrui. Un gesto che è fine a se stesso.  Così come il guardare... ...ed il vivere.

INAFFERRABILE IO

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Selfie (2016) L'"Io" inafferrabile, immaginato dal pensiero, emanato da quello stesso "Io", che come in un autoritratto cerca disperatamente la sua identità sfuggente. Puerile ma forse necessario lo sforzo di vedersi come entità separata da chi percepisce, un affascinante gioco di specchi di natura ingannevole. E così ci illudiamo di poterci riconoscere in un selfie, lo usiamo per rappresentarci, immagine-marionetta del nostro teatrino quotidiano. Perché il dualismo è vincolato alle dinamiche del mondo. Il dualismo è movimento, e nel movimento c'è vita. E oltre la vita c'è il silenzio immutabile, quello interiore ed assoluto che a me piace chiamare "casa". Quello irraggiungibile perché non soggetto ad alcuna distanza. Perché è sempre qui e sempre adesso.

L'UOMO AL CENTRO

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Dublino - Seduto accanto a Joyce (2015) Non si rubano le immagini, non si depredano le anime, non si viola la privacy... Ritratto oppure Street, l'uomo rimane al centro come referente, protagonista del nostro rapportarci.  Ci riconosciamo in quell'istante grazie a un'immedesimazione spontanea, l'innata sensazione di essere uniti dalla medesima forza, chiamarla spirito o consapevolezza poco importa. Noi sappiamo e sappiamo che anche le comparse dentro all'immagine sanno. C'è un sapere e un percepire unito, prima dell'elaborazione cerebrale che traduce ogni esperienza in un qualcosa di unico. Ma all'origine ci siamo "noi" come una cosa sola. Ricordo di avere scattato almeno tre fotogrammi in questa occasione. L'uomo non faceva per niente caso alla mia presenza. C'era solo un unico movimento di persone e di intenti. 

SCEGLIERE NON SCEGLIERE

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Casse sotto un ponte (2014) La scelta può originare tensione. Scegliere di non fotografare come atto di ribellione alla pratica di massa può portare ad un conflitto interiore. Si può continuare a scattare senza un fine preciso, ma anche questo potrebbe diventare uno scopo ossessivo e creare resistenza, attrito. L'azione naturale è la via più sicura, il normale accadere della pratica fotografica, come ricerca estetica o strumento di cronaca. Esiste forse uno scopo più meritevole di un altro oltre l'ambizioso gioco del divenire? Ammucchiamo pretesti per sentirci più nobili, come casse di materiali da costruzione impilate vicino ad un cantiere, perché ci è stato detto che costruire è l'unica via per lasciare traccia di noi. Spesso le idee diventano più pesanti dei blocchi di cemento, tanto che neanche un caterpillar riuscirebbe a rimuoverle.  

FOTOGRAFIA SENZA SFORZO

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Gozo - Angolo di una Strada (2014) La pratica della fotografia popolare avviene attraverso un atto privo di sforzo, la leggera pressione del dito sul tasto di una macchina fotografica, e grazie alla tecnologia questo rituale sta diventando sempre più alla portata di tutti. Questo è senz'altro il motivo per cui la notorietà di questo linguaggio è cresciuta visibilmente negli ultimi anni. La possibilità di acquisire delle immagini grazie a un semplice gesto, seguendo l'automatismo del "punta e clicca", ci permette di sprigionare energia creativa in uno stato di "non-sforzo", che è lo stato naturale del vivere. Si tratta di una condizione di non-divenire, di accettazione dell'immutabile, totalmente immune alle influenze esterne. Accettando il gioco dell'ego, si possono costruire castelli di pensieri per giustificare la nostra pratica creativa. Il gesto diventa "sforzo-consapevole", vincolato da uno scopo puramente ludico, e di conseguen

GERARCHIE

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Bambola Comoda (2016) Le gerarchie si fondono su discrete discriminazioni, schemi mentali impegnati a selezionare, dividere, etichettare e giustificare atteggiamenti predominanti. Su cosa si fonda l'idea di mettere su piani diversi le merci? C'è il prodotto industriale, risultato di una catena di montaggio in cui macchina e uomo collaborano secondo disegni prestabiliti, c'è poi quello artigianale, in cui all'uomo viene riconosciuto un ruolo più importante, e infine c'è il prodotto artistico, nobilitato dalla cultura del fare, per cui l'artista si posiziona gerarchicamente sul gradino più alto della scala del rispetto, sempre secondo gli schemi mentali della nostra cultura. I primi due sono semplici utensili, il terzo tipo di prodotto serve invece a intrattenere, o al limite a pensare, che può essere a sua volta una forma d'intrattenimento. La differenza è fittizia. Tutto è un gioco dell'ego. Come bambole adagiate su comode poltrone, assistiamo al

DINASTIA

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Padre e Figlio (2016) L'idea della continuazione attraverso la prole si basa su regole temporali che la realtà sfugge. Il momento è senza tempo, un po' come l'immagine. La continuazione è il risultato del pensare e dell'accumulo di memorie, perciò fondamentalmente fasulla. Il legame con un figlio pare girare intorno alla somiglianza fisico-caratteriale, che come sappiamo non ha nulla che vedere con la nostra reale identità (somiglianza che peraltro si afferma solamente grazie al ricordo ed è quindi legata al tempo). Nella realtà atemporale il legame è lo stesso che sentiamo con il resto della manifestazione: alberi, animali, montagne, stelle...  L'esperienza del genitore può sollecitare la comprensione del vero amore (quello incondizionato) e allo stesso tempo rafforzare l'ego (che aspira sempre alla continuazione).  I figli ci insegnano ad amare, ma il vero amore non è mai esclusivo. 

NON RE-AZIONE

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Spiaggia (2016) L'ossessione dell'immagine, del ritagliare, dell'immagazzinare e dell'accumulare, sembra essere la peculiarità di questo periodo storico. Non è facile rimanerne immuni. Decidere di aggregarsi al branco oppure isolarsi sono entrambe conseguenze logiche di questa mania collettiva. Si può fare qualsiasi cosa, eccetto evadere la causa che ha provocato il nostro agire (o il nostro non-agire). Quando un dato evento provoca in noi una reazione, possiamo dire di essere sotto il controllo di tale evento. Abbiamo perso la nostra libertà. Annullare il pensiero, ignorare ogni possibile conseguenza, cancellare ogni etichetta, sopprimere ogni intento, raggiungere tutto ciò non attraverso un'azione ma grazie al silenzio, può essere il punto di partenza per un gesto veramente nuovo. Incontaminato. Non reattivo. 

RELAZIONI

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Amsterdam - Palazzo di Giustizia (2013) Le relazioni costituiscono la base della nostra esistenza. Non potremo dire di esistere se non potessimo relazionarci con qualcosa o qualcuno. Come il fotografare è imprescindibile dal fotografato, così io non posso esistere senza di te. Ma la divisione è solo apparente. Proprio perché entrambi dipendenti l'uno dall'altro, siamo in realtà una cosa sola. Si fa un gran parlare di "amore" senza conoscerne il vero significato, che è poi il riconoscersi negli altri. A volte può bastare uno sguardo... Ecco che il "guardare" assume allora un significato potente, perché solo chi è in grado di guardare può accedere alla conoscenza del vero. La fotografia è un "guardare" ritagliato e cristallizzato in un'immagine. Ma il "guardare" appartiene sempre e solo a chi guarda e non è esclusività del fotografo.

LA VIA DELLA VERITA'

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Cecilia (2014) Ho scelto di raccogliere delle immagini, di catalogarle, selezionarle ed infine mostrarle secondo un percorso personale, a volte pensato, più spesso sentito intimamente. La mia esperienza fotografica è questa qui. La verità ne vuole essere l'essenza. Per anni ho cercato un modo per raccontare quello che riuscivo a guardare attraverso l'obbiettivo, un'etichetta, uno stile, una firma con cui potessi identificarmi. Poi ho scoperto che vi era una contraddizione di fondo tra la mia ricerca espressiva, che sembrava dovesse per forza passare attraverso l'identificazione in un qualcosa, e la mia ricerca spirituale che richiedeva l'abbandono di ogni falsa identificazione. Potrei dire di avere affidato a Dio il mio lavoro, anche se forse sarebbe una spiegazione un po' ingenua. Tutto è successo per caso... o per volere divino... che poi è uguale.

UNICO OBBIETTIVO

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Parcheggi - Utrecht (2015) Abbandonare la pratica predatoria per quella del raccoglitore.  Le immagini che raggiungono l'obbiettivo non mi appartengono, e solo lasciandole spoglie di significati riuscirò a sentirmi libero come loro. Se vorrò trasformarle in un'opinione, metterle in una gabbia fatta di sbarre ideologiche, starò al grande gioco, e non c'è nulla di male in questo, almeno che non finisca per prenderlo troppo sul serio.  Quel che è arriva naturalmente, il resto è cercato, voluto dai modelli di pensiero, elaborato e poi venduto.  Non serve aggirare le regole dell'estetica, che sono troppo spesso convenzionali. Molto meglio non pensare. L'ambizione porta fuori strada, imprigionando l'incauto nel limbo dell'inquietudine e dell'insoddisfazione. Seguire le regole o abbatterle, poco importa... ma evitare di rincorrere a testa bassa un qualsiasi primato deve rimanere il solo obbiettivo.

L'IMMUTATO

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Shopping in Amsterdam (2015) È il bel guardare che ha inventato l'immagine oppure è il formato-immagine che ci ha insegnato a guardare? Nel gioco del divenire e del trasformarsi, tutto va secondo le correnti di pensiero. Il vero incomincia dove termina il trastullarsi della mente. C'è un fare e un disfare, sullo sfondo dell'essere. Dal silenzio nasce il desiderio di vedere e questo accade in modo naturale, senza pretese. L'immagine è catturata per essere restituita agli occhi di chi vuol guardare, seguono così innumerevoli codificazioni che assecondano il gioco. Ciò che è rimane immutabile, nella vita come in un'immagine, nonostante il desiderio comune di volerlo interpretare.

CAMBIARE LE REGOLE

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Bambina - Queen's Day (2013) Il fare è secondario all'essere. Se l'obbiettivo è realizzare lo stato di testimonianza e penetrare in profondità nel senso dell'essere, sganciandosi dai vincoli della memoria e delle convenzioni sociali, allora ciò che poi nascerà da quel luogo primordiale non saremo più costretti a misuralo attraverso i codici della cultura e del pensiero del mondo. Sarà un creare libero e spensierato come il gioco di un bambino. E proprio come fa un bimbo, si cambieranno le regole in tavola, si aggiusterà il gioco lasciandoci guidare da una voce interiore e rifiutando ogni tipo di competizione e di conflitto. Così il fare potrà diventare qualcosa di cerimoniale, la normale espressione dell'essere, senza cadere però nella convenzione della ritualità. Rimarrà l'omaggio all'esperienza; un'immagine, un ricordo, o più semplicemente una traccia.

SENSAZIONI

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Rudere di Sant'Ilario (2016) Ci sono luoghi in cui le sensazioni sono forti ed il guardare diventa preghiera. Sono quei luoghi che evocano il silenzio, che non è solo il punto d'arrivo ma anche quello di partenza di ciò che è manifesto, che per quanto illusorio sia, è comunque imprescindibile dalla realtà. Il reale si mostra infatti solo dopo la caduta del falso. L'altalenarsi di stati di sonno e di veglia, di piena consapevolezza ed illusione, di vita e di morte, in una condizione di apparente dualismo, è forse l'ultima esperienza prima della dissoluzione nell'Assoluto. Finché apparteniamo ad uno stato di movimento, è bene riconoscere le basi su cui si poggiano le manifestazioni. Il silenzio come crogiolo dell'espressione.

RICOSTRUIRE

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Leida - Cantiere (2016) Non è obbligatorio distruggere per poter ricostruire. Non servono strappi energici e parole definitive per imboccare una nuova strada. Spesso, con la scusa del voler ricominciare, si fa tabula rasa, e ci sentiamo forti, coraggiosi. Pensiamo di aver annientato il nemico, invece lo abbiamo solo rafforzato.  Leida è una città magnifica, eppure sono tornato a casa con questo scatto. Ve ne sono degli altri ovviamente, ma questo mi ha colpito in particolar modo. Mi comunica lo zelo con cui il mondo moderno distrugge e ricostruisce, ogni strada, palazzo, angolo di questa foresta di cemento. Senza vergogna. Giustificato. Nell'era del guardare ribaltato, in cui prima si fotografa e poi si osserva, vale ancora la pena raccontare di una sensazione, fermata per necessità in un'immagine. 

RITORNO A CASA

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Utrecht - Coppia sul Canale (2015) "Tornare a casa" è una sensazione di completo abbandono, è il modo in cui mi piace riconoscere lo stato di felicità che non è né ebbrezza né fremito, ma qualcosa di familiare ed accogliente, il luogo del riposo al quale prima o poi tutti vogliamo fare ritorno. Utilizzo spesso questa metafora per spiegare la "giustezza" di un evento, l'armonia che si ristabilisce grazie ad un intervento consapevole, piccoli o grandi gesti della nostra quotidianità. In questa immagine riscopro il significato del "tornare a casa", anche grazie ai colori pastellati e ai contorni smussati di un vecchio obbiettivo manuale. Vedo l'equilibrio tra colori e forme, le ombre che si allungano verso la fine del giorno, la coppia che cammina in direzione del viuzzo, perché è proprio laggiù che li aspetta casa loro. Una cosa normale... giusta.

EVADERE IL LINGUAGGIO

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Amsterdam Zuid (2016) Il problema del linguaggio, che sembra sfuggire al medium fotografico, può diventare un'opportunità per aggirare le trappole del pensiero e della teoria, ed avere finalmente un messaggio della realtà dalla realtà. Ci viene detto comunque che l'immagine, delimitata dalle regole di composizione, inquadratura, profondità di campo ecc., è per sua natura bugiarda, ma io mi chiedo se non sia invece forzatamente bugiarda l'interpretazione che le si dà. Nel silenzio interiore è possibile leggere un'immagine e forse carpirne il suo significato oggettivo, svuotando la mente da ogni possibile modello e aspettativa. Gli alberi sono alberi, i palazzi sono palazzi, il cielo è solo cielo, una lettura che scavalca i simboli e gli schemi, ponendoci di fronte alla realtà congelata... se davvero possiamo chiamarla "lettura".

AUTOCONOSCENZA DI UNA MASCHERA

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Anversa - Parata (2014) La cultura dell'immagine, portata agli eccessi dal gioco dei social media, definisce per esclusione la nostra reale identità. Io credo che il gioco esista per essere giocato, e non parteciparvi sarebbe una perduta occasione. Costruire in consapevolezza un'immagine con cui rappresentarci nel mondo significa saper sempre distinguere la realtà dalla finzione, l'illusione del trasformismo delle cose dal silenzioso ed immutabile Sé.  La sofferenza subentra con la falsa identificazione in un qualcosa o in un qualcuno, rappresentazioni transitorie che proprio a causa della loro natura instabile finiscono per deluderci, nel momento in cui le scopriamo essere niente di più che delle idee o delle maschere.  La fotografia, nei suoi quasi due secoli di storia, non ha fatto che rafforzare questa grande illusione. Ma se un'immagine viene utilizzata come strumento indicatore di ciò che è finzione, questa può aiutarci a smascherare il grande inganno. 

IMMAGINARSI

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Manu (2015) La falsa identificazione con il corpo ci porta a sopravvalutare l'immagine che abbiamo di noi stessi ed il modo in cui ci sentiamo costretti a rappresentarla per colpa del nostro ego. Il rapporto tra soggetto e ritrattista è sempre turbolento, proprio a causa dell'esigenza quasi psicotica del primo, il quale ha un'idea ben precisa del suo aspetto (rapportato al mondo) e solo raramente si riconosce in un'immagine bidimensionale, per quanto speculare possa risultare. Si riafferma così la fittizia sensazione di due entità separate, avvalorata da esclamazioni come  "non mi sopporto" o "non mi piaccio" , l'illusoria divisione tra il percepire e il percepito, il soggetto e l'idea della sua immagine.  Nei bimbi questa illusione è ancora latente. Li osserviamo nella nostra confusione interiore, come da dietro delle sbarre, anche se questa loro libertà sono irrimediabilmente destinati a perderla.

UNO STRUMENTO DI VERIFICA

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Metallo e Cemento (2015) Il conflitto (esteriore e interiore) ha origine dal desiderio di competere. Chi non si pone l'obbiettivo di superare o di superarsi, crea in totale libertà, rimanendo consapevolmente ai margini della trasgressione. Le turbolenze dell'emotività si riflettono sia nel processo creativo che nella ricerca del bello, perché solo ciò che lascia una traccia dentro, sia questa di dolore o di piacere, merita di essere valorizzato. Questo è il paradigma dell'arte e del suo figliol prodigo, l'intrattenimento. Chi crea in maniera distaccata è libero da questo paradigma e in pace con se stesso. Il flusso creativo prende forma in modo naturale, diventando un ottimo strumento di verifica, una specie di termometro dell'ego. Lo potremo anche chiamare simpaticamente "egometro".

UN SEMPLICE CLICK

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Berlino - Street Art (2014) Quello che davvero amo della fotografia è il gesto, che nella sua semplicità riesce a provocare tutta una serie di splendide conseguenze, un po' come quando si getta un sasso in uno stagno e si formano una moltitudine di onde concentriche che si perdono nella distanza. C'è il guardare e il fermare l'immagine, poi quella stessa immagine viene selezionata, lavorata, inserita in un contesto, stampata, vista, elaborata, rivista, criticata o acclamata... Tutte queste increspature provengono da quel singolo gesto, così banale che anche un bambino potrebbe farlo. Una leggera pressione con il dito. Un semplice click. Per un secolo e mezzo la semplicità di questo gesto è stata oggetto di analisi di tutta la retorica fotografica, quella volta a screditare o a nobilitare questa pratica. Personaggi colti, in balia di ego complessi, si sono combattuti ferocemente, armati di teorie contorte e sofisticati paroloni. Non posso dire che queste loro diatrib

IN COSTRUZIONE

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Case in costruzione - Utrecht (2008) La forza della ritualità è nel mettere un mattone dopo l'altro. Gli appunti di viaggio sono proprio questo: un progetto creativo motivato dalla ricerca interiore e vincolato dalla passione per un linguaggio. Questa ritualità mi permette di allargare l'arte del guardare parallelamente alla mia spiritualità. "Costruire è sapere e potere rinunciare alla perfezione", canta Niccolò Fabi in una delle sue canzoni, e ben si addice a questa mia riflessione. Scegliere la ritualità per portare avanti un progetto (non importa di che tipo) è un modo per non venire irretiti nella trappola del perfezionismo, che opera sempre per conto dell'ego. Il rituale è anche una forma di ringraziamento, che riconcilia il diviso apparente, nella mente e nel cuore di chi guarda. Parole ed immagini diventano così la mia preghiera quotidiana.

ASSECONDARE IL RICHIAMO

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Porta Socchiusa - Italia (2015) Questa porta socchiusa ha colto immediatamente la mia attenzione ed ho sentito l'irrefrenabile impulso di scattare qualche foto. Ne ho scattate soltanto due in realtà, una verticale e questa qui.  Mi trovavo nella piazza di un piccolo paesino toscano nel primo pomeriggio di un bel giorno di autunno e per strada non c'era nessuno, a parte io ed alcuni amici. Per me questo uscio è stato un invito, per certi versi banale, lo ammetto, ma impossibile da ignorare. Questa scena reclamava di essere presa e contenuta in un'immagine. Al di là del risultato compositivo, che tra l'altro non mi soddisfa granché, c'è in questa foto l'essenza di tutto quello che ho detto riguardo la "Fotografia Mindful", ovvero il trovarsi nella giusta sintonia con ciò che ci circonda, in modo da percepire il richiamo dell'immagine. Anche davanti alla semplicità di una porta socchiusa, che per altro può facilmente richiamare mille metafor

PROVA DI PRESENZA

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Ragazzi sul muricciolo - Praga (2014) Il processo fotografico imprime su un supporto la prova visiva di uno stato di presenza. Il riconoscimento dell'essere si ha prevalentemente attraverso i sensi (nello stato di sonno profondo il senso dell'essere è latente) e la vista è tra questi il più assertivo (se non vedo non credo). Trovo che questo sia il legame più importante tra fotografia e spiritualità, almeno dal punto di vista teorico. Eppure questa prova visiva deve sempre relazionarsi con il tempo, che sfugge al significato stesso di presenza. Infatti si può dire di "esserci", ma non di "esserci stati", mentre la foto implica qualcosa di accaduto, cioè di inevitabilmente passato.

LETTURA

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Bambina rivolta al mare (2007) Il linguaggio della fotografia ha i suoi limiti, ma non lo hanno forse tutte quante le forme di comunicazione? I saggi del passato ci hanno più volte spiegato che le parole non sono in grado di descrivere alcuni stati dell'essere, proprio perché il limite della parola è la concettualizzazione, e cose come "illuminazione", "realizzazione" e anche "Dio" sono per loro natura inconcettualizzabili. Se la pratica fotografica è rivolta verso l'interno, quale mezzo per una ricerca personale, l'unica lettura necessaria sarà quella dello stesso fotografo, come chiusura dell'intero viaggio creativo che scaturisce dall'idea. Per me nient'altro conta: il guardare, il partecipare, il canalizzare e infine il leggere. Perché l'imponderabilità del risultato finale è l'ennesima conferma delle vera natura di una foto, nient'altro che una contingenza di eventi canalizzati dall'intento del fotografo.

ESTERIORITA'

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Esterno - Italia (2015) Così come le sedie vuote definiscono l'assenza di un soggetto, e la curva del vicolo lascia intuire qualcosa che si nasconde alla vista, anche gli esterni parlano del non-visto, cioè di quello che si cela oltre porte e finestre chiuse. Ma le metafore per una volta vorrei lasciarle a chi ama trastullarsi con i giochi del pensiero, per tornare a focalizzare l'attenzione sul rituale fotografico. La tecnologia ha semplificato il gesto di acquisizione dell'immagine in modo esponenziale. Agli albori della fotografia, se si voleva riprendere un paesaggio, era necessario portarsi dietro l'intera camera oscura, mentre oggi tutto quello di cui abbiamo bisogno sta in un telefonino. L'unico strumento che la tecnologia non è in grado di facilitare è il nostro discernimento, che ci permette di vedere le cose oltre la loro superficialità. Camminare in una torrida giornata d'estate con la macchina fotografica in mano alla ricerca del richiamo dell

IL MOMENTO

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Budapest - Distacco (2014) Neanche il "ricevitore di immagini" può esimersi dal confronto con il momento decisivo ed il suo bagaglio educativo. Ma che cos'è poi mai questo "momento decisivo" attorno al quale gira un po' tutta la retorica sulla fotografia? Si tratta di un momento costruito e cercato, o è invece qualcosa di assolutamente spontaneo e perciò casuale? Prendiamo questa immagine, una candid fortunosa scattata dal finestrino di un treno fermo in stazione. Ciò che ho visto mentre scattavo sono soltanto i tre soggetti e la situazione, nel tempo minimo necessario per inquadrare. Non posso dire di aver notato la mano di lei che si appoggia al braccio del compagno quasi a cercare un appiglio, mentre alza la testa in direzione del bimbo sul vagone, e non ho neanche visto la mano alzata del bimbo in segno di saluto. Quei due piccoli gesti definiscono il momento decisivo, ma non li ho cercati, non li ho voluti, posso solo dire di averli trovati, perch

POSSIBILITA'

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Lisbona - Donna e Cane (2015) Le possibilità sono praticamente illimitate, mentre il testimone è uno. Le convenzioni dell'immagine cambiano con la storia della fotografia e le implicazioni sociali. L'occhio dell'obbiettivo non può essere un occhio obbiettivo almeno che non si scavalchino queste convenzioni. Ma se il motivo principale e definitivo è quello di guardare, nella sua più alta forma che è pura contemplazione del divino, allora le regole si perdono nelle trame dell'ego. Rimane la ricerca, spirituale, delle forme, di se stessi, del bello, dei soggetti, della luce, perché oltre ogni retorica è sempre lei che opera il disegno, e questo dovrebbe farci riflettere. Noi lo confiniamo in un immagine, reclamandone la paternità, ma nella fotografia, forse più che in ogni altra arte, appare così evidente la non causalità dell'opera. Forma, luce, strumento, soggetto, occhio, chimica, supporto, medium... è una danza di variabili che si lasciano accadere. L'ide