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Visualizzazione dei post da marzo, 2016

AUTOCONOSCENZA DI UNA MASCHERA

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Anversa - Parata (2014) La cultura dell'immagine, portata agli eccessi dal gioco dei social media, definisce per esclusione la nostra reale identità. Io credo che il gioco esista per essere giocato, e non parteciparvi sarebbe una perduta occasione. Costruire in consapevolezza un'immagine con cui rappresentarci nel mondo significa saper sempre distinguere la realtà dalla finzione, l'illusione del trasformismo delle cose dal silenzioso ed immutabile Sé.  La sofferenza subentra con la falsa identificazione in un qualcosa o in un qualcuno, rappresentazioni transitorie che proprio a causa della loro natura instabile finiscono per deluderci, nel momento in cui le scopriamo essere niente di più che delle idee o delle maschere.  La fotografia, nei suoi quasi due secoli di storia, non ha fatto che rafforzare questa grande illusione. Ma se un'immagine viene utilizzata come strumento indicatore di ciò che è finzione, questa può aiutarci a smascherare il grande inganno. 

IMMAGINARSI

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Manu (2015) La falsa identificazione con il corpo ci porta a sopravvalutare l'immagine che abbiamo di noi stessi ed il modo in cui ci sentiamo costretti a rappresentarla per colpa del nostro ego. Il rapporto tra soggetto e ritrattista è sempre turbolento, proprio a causa dell'esigenza quasi psicotica del primo, il quale ha un'idea ben precisa del suo aspetto (rapportato al mondo) e solo raramente si riconosce in un'immagine bidimensionale, per quanto speculare possa risultare. Si riafferma così la fittizia sensazione di due entità separate, avvalorata da esclamazioni come  "non mi sopporto" o "non mi piaccio" , l'illusoria divisione tra il percepire e il percepito, il soggetto e l'idea della sua immagine.  Nei bimbi questa illusione è ancora latente. Li osserviamo nella nostra confusione interiore, come da dietro delle sbarre, anche se questa loro libertà sono irrimediabilmente destinati a perderla.

UNO STRUMENTO DI VERIFICA

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Metallo e Cemento (2015) Il conflitto (esteriore e interiore) ha origine dal desiderio di competere. Chi non si pone l'obbiettivo di superare o di superarsi, crea in totale libertà, rimanendo consapevolmente ai margini della trasgressione. Le turbolenze dell'emotività si riflettono sia nel processo creativo che nella ricerca del bello, perché solo ciò che lascia una traccia dentro, sia questa di dolore o di piacere, merita di essere valorizzato. Questo è il paradigma dell'arte e del suo figliol prodigo, l'intrattenimento. Chi crea in maniera distaccata è libero da questo paradigma e in pace con se stesso. Il flusso creativo prende forma in modo naturale, diventando un ottimo strumento di verifica, una specie di termometro dell'ego. Lo potremo anche chiamare simpaticamente "egometro".