LE VOLTE E GLI OMBRELLI

Ferrara - Walter guarda gli ombrelli appesi (2016)

Saper viaggiare non è cosa scontata, soprattutto in compagnia. Ci sono delle regole non scritte, delle intuizioni da condividere, dei ruoli da rispettare. Con Walter l’intesa è sempre perfetta, perché entrambi mettiamo come priorità l’esperienza del vedere, il testimoniare distaccato per poter meglio discernere i contorni di quella stessa esperienza, e dare libera espressione al tumulto emotivo. Così l’incedere attraverso viuzze e cantonate, passerelle ed arcate, giardini e botteghe, è un duetto di blues in cui i tempi giusti esaltano la composizione. C’è un tempo preciso per ogni singolo passo che ne segue un altro.

A Ferrara il battito è quello nevrotico del turismo fatto di fretta, dei panini incellofanati e gazzose zuccherate, di famiglie arrancanti sotto il sole cocente. Tutto il bene possibile per loro, ci mancherebbe… Ci aggreghiamo volentieri, ma il nostro ritmo è diverso: abbiamo un disperato bisogno di vedere. Un vedere profondo. Un vedere nuovo.

Sopra Via Mazzini, corso di negozi che sfocia prepotentemente in una delle piazze principali, galleggiano ombrelli colorati a decorare il cielo. L’effetto è a dir poco suggestivo, un invito a molteplici click. Poco oltre corre parallela la strada più caratteristica della città, Via delle Volte, con le sue arcate di pietra e passaggi nell'ombra. 



Ferrara - Via delle Volte (2016)

Sembra esserci una connessione tra queste due strade e le loro peculiarità, gli ombrelli e le volte, come se la città avesse bisogno di proteggersi da qualcosa che la minaccia dall'alto, l’ira divina forse… Ma è sempre e solo la paura che innesca il desiderio di proteggerci, di alzare barricate, di chiudere a chiave le porte.

Oppure sono luoghi in cui ci si ferma a riflettere, all'ombra rinfrescante di un'arcata di pietra si tira un sospiro di sollievo, si osserva l’abbaglio del sole che crea contrasti decisi sulle porte delle case, e un filo di vento che fa danzare un ombrello ci lascia un briciolo di speranza. Vedere, il segreto è questo. Vedere come le cose sono così, ma anche no. I significati si ribaltano in un gioco di pensieri, in un fluire di emozioni. Perché alla fine rimane solo quello: vedere, appunto. Ovvero amare.

La visita procede inevitabilmente verso il Castello Estense, centro nevralgico del via vai turistico, un luogo che si presta facilmente all'immaginazione. Togli la gente, le auto, l’urbanizzazione sfrenata dell’ultimo secolo e ti accorgi di essere dentro un gigante di pietra pregno di storie di un’altra epoca e di segreti sussurrati piano. Nei sotterranei i muri, che sono i soli testimoni di queste storie, mostrano senza vergogna le scritte dei prigionieri. Se potessero racconterebbero anche la loro disperazione e i loro pianti notturni.


Ferrara - Nelle prigioni (2016)

Il dolore scompare e rimane il suo ricordo, che è ingannevole, come ogni altro ricordo scaturito da un’emozione forte. Il ricordo marchia a fuoco la nostra personalità, restringendo inevitabilmente la nostra percezione.

Cambiamo obbiettivo. Da un grandangolo, capace di mostrarci la scena per intero, passiamo a un tele. Ci soffermiamo sui dettagli. Ci perdiamo in essi, dimenticando tutto il resto.

Il giorno muore in un tramonto di nuvole sagomate. L’appagamento va a braccetto con la stanchezza delle membra. Rimane il racconto e le immagini di luce scritte da un sistema binario, poco romantico, lo ammetto, ma conveniente. E la convenienza può essere anche semplicità. E la semplicità va bene, non fatevi ingannare. Va bene.

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