L’IMPORTANZA DEL GESTO

Maarssen - Barca (2014)

Continuiamo a parlare del gesto. Il gesto è tutto quello che abbiamo. È l’intento, la visione, l’inizio di un processo che passa per il vedere ed il mostrare, il raccontare e il percepire, il condividere e il mentire. Una volta scrissi che la scheda di memoria (oppure la pellicola) potrebbe anche diventare superflua nel mio fotografare. Se il gesto di cui parlo è la radice di questa espressione creativa, allora è vero che la registrazione è secondaria, ma senza di questa, senza la prova del gesto, non si potrebbe più parlare di fotografia. Visione e registrazione diventano dipendenti l'uno dall'altra, anche se delle due la prima è sicuramente quella a cui tengo di più. Nel gesto io vedo la vita accadere in ogni sua forma, indipendente e connessa, personale e impersonale. La fermo in un codice bidimensionale, a volte monocromatico, e poi mi perdo osservando attentamente ciò che è rimasto impresso sulla scheda: un volto, un dettaglio, una sfumatura. Sono alla ricerca della realtà. 
Sarà forse nello sguardo di un bambino che tiene per la mano suo padre? O nella finestra buia di un palazzo sullo sfondo dell’immagine? Oppure in un gruppo di sedie lasciate vuote in un parco? Posso rimanere così per ore a cercare di decifrare questo enigma. La scoperta della realtà in ogni cosa testimoniata, conscio del fatto che tutto proviene dal testimone. 

Ogni foto è unica perché il gesto è unico. Il gesto è ciò che infonde unicità ad una foto. Infatti si potrà replicare sistematicamente ogni elaborazione successiva all’acquisizione dell’immagine (valori di post-produzione, didascalia, contesto di fruizione) ma non lo scatto in sé, in quel preciso istante, luogo e posizione. 
Il gesto ci ricorda anche l’esistenza del presente, mentre il suo risultato (la foto) ha a che fare esclusivamente col passato, con l’accaduto. Ricordando quel momento cruciale in cui abbiamo visto qualcosa e abbiamo cercato di catturarla, pensiamo ad un evento ormai trascorso, perché il presente sfugge tra ricordo e aspettativa. Ma la foto è testimone di un momento in cui si avverte un forte stato di presenza, una salda collocazione nel tempo presente, la condizione ideale per richiamare quel gesto dal quale ha origine l'immagine. 

Osservo il mondo ed improvvisamente qualcosa attira il mio sguardo: è una barca ormeggiata sulla riva di un canale che manda riflessi sull'acqua. La visione mi affascina e stimola le mie sensazioni, per via delle forme, dei colori e dei riverberi di luce. Sopravviene il desiderio di catturare questa sensazione, ma posso solo registrare l'immagine che la produce, perciò alzo la fotocamera, cerco la giusta inquadratura, configuro esposizione, tempo di ripresa e diaframma, infine scatto. Cosa è successo?
Dal riconoscimento dell'immagine fino alla sua acquisizione (ovvero dalla visione al gesto) l'intento di scattare una foto è passato attraverso almeno quattro schemi mentali. 
Primo schema mentale: riconoscere la scena. Perché quella barca ormeggiata attira la mia attenzione?
La mente è impegnata a confrontare esperienze passate e conoscenze acquisite. In una frazione di secondo, grazie a questo bagaglio culturale, la mente decide che quella e non altre è un'immagine "bella" oppure "utile".
Secondo schema mentale: decidere di fotografare.
Dopo il riconoscimento la mente deve prendere una decisione: impegnare la fotocamera per acquisire l'immagine oppure lasciar perdere e proseguire la sua osservazione del mondo. Qui i filtri sono prettamente emotivi (paura di perdere tempo, di non sapere come procedere tecnicamente, di cadere nella banalità e altri ancora). 
Terzo schema mentale: la composizione. 
Seguendo le indicazioni suggerite dell'esperienza personale, sempre grazie alle conoscenze tecniche e teoriche del mezzo, la mente compone la scena nel mirino. 
Quarto schema mentale: la configurazione della macchina.
Ultima decisione prima del click finale, parimenti condizionata dal bagaglio culturale. 
In questi quattro passaggi l'originale intento è stato messo alla prova da molte linee di pensiero, tutte originate dall'influenza socio-culturale dell'operatore. Un bimbo con una macchina giocattolo si sarebbe probabilmente fermato al primo schema mentale. Attratto dai bagliori dell'acqua avrebbe puntato centralmente la barca e premuto il pulsante senza pensarci due volte. Il suo gesto, meno condizionato del nostro dall'aspetto socio-culturale, risulterebbe forse più puro, più sintetico, più diretto. Dovremmo anche considerarlo più vero?
Non credo. La verità è solo nel primario intento, il desiderio dell'esperienza, la ricerca della bellezza che è curiosità, stimolo emotivo, sensazione di appartenenza, relazione, ed è presente nel bambino e nell'adulto in pari misura. È l'istinto creativo dell'uomo che crea l'intento. Ma l'intento senza il gesto non ha testimonianza, è solo potenzialità inespressa.

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