OLTRE L’INGANNO

Utrecht - Fuori dalla stazione (2014)

Se la fotografa è finzione, perché pretende di rivelare il vero e fallisce ogni volta, essa può diventare lo strumento perfetto del sad-guru, il maestro interiore, per svelare l’inganno ed arrivare alla realtà. La verità esiste soltanto come esperienza soggettiva e segue questa catena di eventi: vedere, riconoscere e desiderare. L’esperienza visiva viene seguita dalla scoperta della realtà e da un naturale desiderio di afferrarla, ed ecco che la nostra fotocamera ci viene in aiuto. Usiamola per appagare questo desiderio di realtà, con un semplice gesto, un gesto d’amore che trasforma la finzione in verità.
Chi possiede la “visione del vero” è in grado di comprendere il significato dell’esperire e quindi è anche capace di trascendere l’esperienza fotografica (sia nel ruolo di agente che di ricevitore), per vedere la realtà oltre l’apparenza. 
L’osservatore gentile, puro, con occhi innamorati (pieni d’amore) diventa la visione stessa del vero. La bugia è solo negli occhi di chi guarda. L’immagine ritagliata in una foto è il risultato di innumerevoli contingenze delle quali il gesto del fotografo è solo un aspetto. La foto è fatta, cotta ma non ancora mangiata; assolutamente innocua. È solo nella secondaria ricezione dell’immagine, non più esperienza reale ma esperienza compressa nel modello fotografico, che incomincia la bugia. Vuoi per ignoranza o per malizia, ma è lì che si cela l’inganno. 

Tutti oggi vogliono imparare a fotografare, potenziale linguaggio alla portata di ogni possessore di smartphone, ma trattandosi di un modello che mente per sua natura possiamo anche dire che oggi tutti vogliono imparare, più o meno intenzionalmente, a mentire.
D'altronde le foto che invadono i social sono piccole e lampanti bugie, ingannevoli fino all'ultimo pixel. Ma chi è veramente consapevole di questo contagioso modo di mentire? Sicuramente chi conosce a fondo il mezzo, lo strumento che cattura le immagini e le ripropone secondo criteri di fantasia, creatività e utilità. E molto spesso nemmeno lui, perché per rimuovere il falso bisogna scavare in profondità, senza pregiudizi, senza false imposizioni mentali. Rimosso infine ciò che non è, possiamo fare affiorare ciò che è.

La post-produzione non può cambiare il significato del gesto fotografico. Che sia un abbellimento oppure un fronzolo maldestro, che sia una palese manipolazione o una sottile mascheratura, non cambia la realtà dell’immagine, il significato dell’intento che sta all’origine della foto, ciò che ha messo in moto gli eventi di questa nuova raffigurazione visiva del mondo. Quando parlo di realtà dell’immagine o meglio di “realtà del gesto fotografico”, che reputo un aspetto fondamentale del mio fotografare, intendo il gesto essenziale e puro che sta all’origine del vedere e dello scoprire, l’esperienza prima e scarna che poi genera l’immagine. Quel gesto non può mentire. Mentono invece tutta quella serie di interpretazioni successive, la registrazione, la post-produzione, la didascalia, la fruizione e la lettura finale. Ma il gesto rimane puro, essenza del vedere, del riconoscere la realtà in un frammento di spazio-tempo. Le successive alterazioni possono nascondere la verità ma non sopraffarla. E come nella vita, la bugia si arrende davanti al potere incontenibile della realtà. 

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